Azores Wine Company
Per risanare i nostri currais è servito il lavoro di 30 ragazzi 7 giorni su 7 per 3 anni.
Filipe indica i muretti che si sviluppano in una serpentina a perdita d’occhio, alti circa mezzo metro, costruiti a mano con roccia di basalto nero senza l’uso della malta.
“Le Azzorre sono i giardini segreti dell'Atlantico” dico a Simona all’improvviso, mentre appoggio la tazza di caffè americano sul tavolo del bar-bistrot-emporio-spazio di co-working dove stiamo lavorando da ore.
Ho appena terminato una ricerca sui luoghi più remoti dove si produce vino e mi sono fissato sulle Azzorre – minuscoli atolli di lava nera dominati dalle montagne che li hanno generati – dove pionieri come António Maçanita, Filipe Rocha e Paulo Machado stanno cambiando il mondo del vino.
Qualche giorno dopo siamo su un aereo con un biglietto per l’isola di Pico.
Un luogo magico, pronto a stupirci anche nel futuro con il suo l’Arinto do Açores Solera. Ma andiamo con ordine e godiamoci il volo.
Arinto do Açores Solera è una vera rivelazione di questa cantina. Scoprilo insieme a tutte le altre eccezionali etichette.
Non c'è altro che oceano per ore. Luce bianca e calore picchiano attraverso il finestrino dell'aereo. Poi le forme appaiono all'orizzonte: le isole dalle cime vulcaniche emergono dall'acqua come ginocchia in una vasca da bagno.
Sotto di noi Pico si mostra in mezzo all'acqua cerulea con al centro il suo vulcano traballante.
Fino all’inizio del XV secolo queste isole erano deserte, poi gli esploratori portoghesi le scoprirono e le popolarono con nobili, servi a contratto e prigionieri a cui era stata data la possibilità di scegliere tra prigione ed esilio. Oggi qui vivono discendenti di balenieri e corsari diventati pescatori, agricoltori e produttori di vino che mostrano un senso di pace interiore nato dall’ineluttabilità della battaglia quotidiana con la natura.
“C’è tantissima energia!”. È questa l’esclamazione che Simona e la troupe che ci accompagna (per raccogliere il materiale fotografico e video) condividono non appena atterrati. Si ha la sensazione di essere ai confini del mondo, in una zona non del tutto conquistata dall'umanità.
L’occhio spazia su questo paesaggio lunare. La pietra lavica che ci circonda è buia come la notte e sembra immergerci in una pellicola in bianco e nero. Le onde che si infrangono sulla scogliera sono la colonna sonora di questo film dove gli unici punti di colore sono dati dalle tonalità di verde della vegetazione, dagli steccati imbiancati e dalle imposte delle case.
La sera del nostro arrivo decidiamo di fare una grigliata, tanto il nostro ospite Filipe Rocha non lo incontreremo prima della mattina seguente. Mentre il nostro fotografo Dave, che scrupolosamente non ha dimenticato di portare il suo ukulele, ci allieta strimpellando, Dani del team di produzione salta tra le griglie improvvisate per evitare che tutto finisca in cenere.
L’alba che ho ammirato qui alle Azzorre è stata finora la più bella della mia vita. Da solo, seduto su un “currais” con una tazza di caffè in mano ho respirato vita e dato ossigeno alla mia anima.
“Io non sono James Bond… non sono James Bond!” Continuo a ripetermelo mentre guido lungo la salita sterrata dell’azienda vinicola Azores Wine Company e ne ammiro in lontananza la struttura avveniristica. Impossibile non rimanerne colpiti e impossibile non immaginarmi in un film di 007. Se non fosse un’azienda vinicola potrebbe essere la sede della Spectre.
L’Adega (“cantina” in portoghese) di Azores Wine Company con i suoi piani di vetro, il cemento liscio e la pietra grezza sorge ai piedi del vulcano di Pico, circondata dai propri vigneti difesi da un labirinto di currais e distante poche centinaia di metri dalla furia dall’Oceano Atlantico.
“Camminate su un suolo che accoglie vigne da più di 550 anni!” grida Filipe dall’ingresso della cantina per darci il benvenuto. Che personaggio! In lui ritrovo la stessa energia dell’isola.
La struttura dove ci troviamo è sorta nel 2016, due anni dopo la fondazione dell’azienda, e 6 anni dopo che il pluripremiato anticonformista, irrequieto e dirompente winemaker António Maçanita (come lui stesso si definisce sul proprio sito web) recuperasse un vitigno autoctono praticamente estinto, il Terrantez do Pico (erano rimaste solo 89 piante), con il desiderio di fare qualcosa di diverso. È questo l’inizio dell’avventura.
Filipe racconta che l'isola un tempo vantava fino a 15.000 ettari di vigne e produceva vini strepitosi, trovati nientemeno che nelle cantine di Thomas Jefferson, dell'aristocrazia europea e degli zar russi.
“Nel 19° secolo venne tutto spazzato via dalla fillossera* e oggi, sotto la giungla che ci circonda, ci sono ancora, nascosti, i vecchi vigneti”.
La bonifica e il recupero dei vitigni sono all'origine della storia dell'Azienda perché sono il luogo di nascita della sua filosofia: recuperare i vitigni autoctoni delle Azzorre e restituirli al mondo.
Per anni Filipe Rocha è stato Direttore Esecutivo della Scuola di formazione alberghiera e turistica delle Azzorre contribuendo in modo determinante a cambiare la formazione professionale nella regione e a promuovere i vini delle Azzorre. Dal 2016 è Direttore Finanziario di Azores Wine Company e, a mio parere, anche molto di più. Insieme ad António Maçanita e Paulo Machado, è la mente dell’azienda ma prima ancora il cuore.
Quest’uomo è un teatrante nato: quando parla sfrutta in modo istintivo il ritmo e il tempo per essere ascoltato e capito. Un gesto, un silenzio, una serie anche breve di parole, tutto concorre a renderci evidenti l’amore e la devozione che Filipe nutre per questa terra.
“Sorprende sempre vedere gli uomini di qui innalzare i currais. È un’arte che sembrano avere nel sangue.” Ammiriamo in rispettoso silenzio la serpentina di muretti che si sviluppa davanti a noi a perdita d’occhio, costruita a mano con roccia di basalto nero senza l’uso della malta, alta circa mezzo metro, che ha lo scopo di proteggere le uve dal vento e dal clima fresco delle Azzorre. “Per risanare i currais dei 120 ettari di Azores Wine Company è servito il lavoro di 30 ragazzi 7 gorni su 7 per 3 anni”. Filipe sa di aver sganciato una bomba. Siamo allibiti e impressionati.
Queste terre mostrano i segni della lotta perenne di due forze, quella dell’uomo e quella della natura, che qui sull’Isola di Pico non sono antagoniste ma piuttosto alleate, unite dal comune intento di vivere e prosperare.
Da una parte le viti che crescono tra le crepe della lava e si sviluppano rasenti al terreno per evitare che il vento dell’oceano le spezzi, dall’altra gli uomini che posizionano pietre sotto i loro rami per sollevarle e permettere alle uve di crescere.
L’utilizzo di macchinari qui è impensabile. Gli uomini lavorano manualmente come sarti su ogni singola pianta, tramandando un retaggio antico di centinaia di anni. Mi torna alla mente una frase che ho letto da qualche parte prima di partire: “You don’t have to be crazy to make wine in Azores, but it helps!”
Entrati in cantina si riaccende la sensazione di essere in un romanzo di Ian Fleming. La struttura ha una forma quadrata che ricorda le vecchie cisterne per l'acqua e gli conferisce l’aria del tipico chiostro dei monasteri dell’isola. Io penso solo di trovarmi nel Giardino dei Veleni di Safin in No time to die. (Quella per 007 è un’altra mia passione.)
Saliamo in terrazza, un belvedere dal quale vediamo e sentiamo ogni elemento fondamentale alla produzione dei vini di Azores Wine Company: l’oceano, il vento, il vulcano e la lava.
Filipe decide che è questo lo spazio-tempo giusto per farci assaggiare i frutti di tutto il lavoro che ci ha raccontato. Io ne ho selezionati sei e, se prima di descriverli uno per uno mi lascio andare per l’entusiasmo a uno spoiler, spero che mi verrà perdonato: sono tutti superbi e veramente diversi da qualsiasi altra cosa abbia assaggiato e scoperto finora.
Arinto dos Açores. Ottenuto da un vitigno autoctono ed esclusivo delle isole Azzorre che ha in comune con l'Arinto del continente solo il nome. È l’essenza di Azores Wine Company. Al mondo non esiste altra uva che abbia una corrispondenza genetica con la sua. Mentre lo bevo ho la sensazione di trovarmi seduto su uno scoglio su cui si è appena infranta un’onda.
Arinto dos Açores Sur Lies. Se prima pensavo di trovarmi su uno scoglio, ora sto nuotando in pieno oceano. Un vino più “salato” ma con più corpo e un pochino di legno. Al naso ricorda la bassa marea, quando le onde si ritirano ed emergono le rocce. Né io né Simona abbiamo mai bevuto un vino minerale simile in tutta la nostra vita. Ne siamo completamente innamorati.
Terrantez do Pico. Anche questo è un vitigno che esiste solo alle Azzorre. Recuperato da António Maçanita appena in tempo, erano rimaste solo 89 piante in tutto il mondo. Completamente diverso dagli altri, al naso fa subito riconoscere il suo carattere floreale. Un vino più fine e delicato come risultato di una produzione più esclusiva.
Filipe ci spiega che le prossime bottiglie che assaggeremo provengono da vigne più antiche dislocate nell’area di Criação Velha nella parte nord dell’isola, comune di Madalena. Piccoli lotti per produzioni selezionatissime.
Canada do Monte. Prodotto da un vigneto di 80 anni. Mi rendo conto che con lui parliamo un’altra lingua. La concentrazione è più profonda. Sale e iodio non mancano. Un vino esplosivo come il vulcano che ha nel dna. Uno “schiaffo di mare”.
Vinha Centenária. Prodotto da un vigneto di 100-120 anni. Ogni sorso è un volo sopra l’oceano. Si può quasi sentire il mare che colpisce le rocce. L'equilibrio tra acidità e concentrazione è a dir poco sorprendente. Questo è un vino che può essere conservato in cantina fino al 2035 senza problemi, e nei prossimi 10 anni non farà altro che migliorare.
Vinha dos Utras. Prodotto da un vigneto di 60-80 anni. L’apice del lavoro ad Azores Wine Company. Si è colpiti da tanta buccia d'arancia, mandarino, iodio, grafite e un leggero sentore di fumo. Estremamente elegante, fine, sofisticato eppure eclettico. E' davvero suggestivo.
Se qualcuno volesse un parere più altolocato del mio, eccolo: Robert Parker* ha dato più di 90 punti a tutti i vini descritti. In particolare, Vinha Centénaria 2018 ha ricevuto 95 punti e Vinha dos Utras 2020 addirittura 96. Numeri da capogiro.
*Robert Parker è un Wine Advocate, il più conosciuto e influente al mondo. Le sue valutazioni dei vini, che vanno da un minimo di 50 punti a un massimo di 100, sono un fattore determinante per stabilire i prezzi dei vini. La sua scala di qualità, diversa da tutti gli altri sistemi di valutazione a 20 punti, si è infatti imposta come lo standard dell’industria vinicola.
Le Azzorre mi hanno insegnato tanto e segnato parecchio. Ora che sono seduto nel mio studio a scrivere questo articolo penso a Filipe e a quanto mi piacerebbe essere nella sua Adega, seduto con lui e Simona su un currais della vigna con un bicchiere di vino in mano, mentre le nostre risate sovrastano il boato dell’oceano.
Sì, le Azzorre mi hanno proprio segnato. Letteralmente.
Un anno dopo
È gennaio 2024, sono a cavallo in Kenya e mi suona il telefono. Tutto mi aspetto tranne che leggere sullo schermo: Filipe. Il mio equilibrio traballa mentre sul volto mi scoppia un sorriso.
Quando inizia a parlarmi, rischio davvero di cadere dalla sella. Le sue parole sono del tutto inaspettate e trasformano in realtà quella che, quando ci eravamo incontrati sull’Isola di Pico, era rimasta solo una grandissima aspettativa.
L’esperimento è riuscito e, dopo anni di lavorazione, l’Arinto do Açores Solera è finalmente pronto!
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Sono emozionato, incredulo, felice.
Filipe continua: Siamo riusciti ad assegnare 102 bottiglie al mercato italiano.
Non ci posso credere. 102 bottiglie disponibili in esclusiva su una produzione di poco superiore alle 3000 unità. Un vino di cui avevo solo assaggiato un’anteprima, ben lontano dall’essere alla sua massima espressione. E già ne ero conquistato.
È un Arinto dos Açores, che tanto amo, ed è stato prodotto con metodo Solera* utilizzando le annate 2018, 2019, 2020 e 2021.
*Solera è il metodo di maturazione per i vini fortificati ed è anche detto “invecchiamento dinamico”. Serve per garantire una qualità costante delle proprietà organolettiche nel tempo, dato che l’evoluzione dei vini fortificati può durare anche decine di anni.
Filipe è entusiasta. Mi descrive un vino tridimensionale per cui non riesce a nascondere l’innamoramento.
Al naso riconosci più facilmente il metodo nel quale è stato prodotto ma in bocca voli direttamente sull’isola di Pico. - mi dice - La freschezza, la mineralità, l’acidità e il tocco vulcanico sono identitari del luogo dal quale l’Arinto proviene. Ci sono sentori di alghe, di iodio, miele e agrumi. Un vino fantastico che si presta a incredibili abbinamenti con il cibo.
Le sue parole e l’opportunità di avere queste 102 bottiglie letteralmente mi elettrizzano.
Non era mai successo che un produttore mi chiamasse per raccontarmi e propormi l’ultimo vino nato nella sua cantina.
E che vino! E in esclusiva!
Lancio il mio cavallo al galoppo, il sole arde sulla mia pelle, il vento mi scompiglia e sento una grande energia esplodere in ogni mia cellula.
Sarà l’Africa - penso.
Poi ci ripenso: No, sono state le parole di Filipe.
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