Dislivelli
Con il mio vino ho creato il connubio tra la viticultura estrema e le imprese dell’alpinismo.
Gian Piero Ioli ha tutto nel DNA: la passione per le vigne proviene dai nonni materni e la devozione alla montagna dalla famiglia paterna.
Sono noti da secoli gli effetti riparatori dell’avventura, il valore terapeutico di fare nuove esperienze di vita e le proprietà stimolanti dell’esplorare l’ignoto. I medici del XVIII secolo prescrivevano vacanze per tutta una serie di disturbi.
Ecco perché lo riconosco: so di essere fortunato ad aver viaggiato parecchio nella mia vita. Ho vissuto a Foshan, ho surfato nell’Oceano Pacifico, ho dormito nel deserto del Gorafe, ho percorso centinaia di chilometri in sud America e ho preso il sole su molte coste europee.
Ogni viaggio mi ha permesso di mettermi in discussione fuori del mio angolo di mondo e mi ha aiutato a uscire dalle ansie della vita quotidiana.
Eppure andare lontano, più lontano che si può, per quanto più accessibile di un tempo e quindi più frequente, non è obbligatorio per trovare qualcosa di davvero unico, diverso e istruttivo. Io l’ho trovato a due ore da Milano, in una Valtellina sorprendente, nel carisma di una persona e nella sua visione della vita.
Sono piuttosto disorientato quando arrivo nella centralissima Via del Gesù a Sondrio. Mi trovo davanti a Palazzo Guicciardi, dimora privata risalente al XVIII secolo che nel 1859 ospitò Garibaldi, e controllo più volte di trovarmi nel luogo giusto. Difficile credere che questa sia la cantina di Gian Piero.
Non posso nemmeno chiedere supporto a Simona perché in questo viaggio non è con me ma impegnata su un set. Una Land Rover 90 del 1984 emerge da una minuscola via laterale e l’uomo alla guida mi fa cenno di salire: “Andiamo subito in vigna!”
Bermuda di jeans, t-shirt, fisico da atleta consumato e stretta di mano poderosa, al volante c’è l’architetto e vigneron Gian Piero Ioli. Devoto fautore della viticoltura sostenibile, nel 2020 dà alla luce Dislivelli, un progetto ambizioso e anticonformista, considerato folle e rischioso da molti nella valle. Del resto, se si chiama viticoltura estrema,* un motivo ci sarà.
* La viticoltura estrema è una viticoltura che si pratica in territori impervi, molto difficili da lavorare, e che tuttavia possono generare vini notevoli, a loro volta detti estremi o eroici. Questo tipo di viticoltura si incontra generalmente in montagna, più di rado nelle piccole isole. I vigneti coltivati devono sorgere su terrazze o gradoni, oppure avere una pendenza minima del 30% oppure un’altitudine minima di 500 metri. Il vigneto deve soddisfare almeno una di queste caratteristiche per poter essere definito estremo.
Mentre scaliamo i fianchi della montagna e la Land ondeggia sui saliscendi dell’asfalto, passiamo accanto a sistemi di carrucole un tempo utilizzati per trasportare l'uva e sfioriamo una miriade di muretti a secco costruiti per sostenere i vigneti terrazzati.
Intanto Gian Piero, che è una persona schietta e diretta, esordisce così, condividendo quello che per lui è l’assioma alla base del suo lavoro.
“Bere bene è importante come alimentarsi bene. Io sono deciso a creare qualcosa di nutriente di cui si possa godere anche dal punto di vista fisico.”
E va avanti: “Intervengo in vigna e in cantina il meno possibile per portare nel bicchiere il sapore vero del territorio, che comprende le erbe, gli insetti e tutto quello che può trovarsi in un terreno coltivato nel modo più naturale che c’è.”
Mi concentro in ascolto attivo, silenzioso e presente, mentre guardo la valle sotto di noi scorrere da est verso ovest seguendo il fiume Adda. I freni fischiano e alla macchina occorre qualche metro prima di fermarsi nello slargo della stradina adibito a parcheggio.
La vista della vallata mette le vertigini, e sopra di noi le parcelle di terreno di Dislivelli si ergono lungo pendenze che obbligano a sollevare la testa. L’ettaro vitato lavorato in biologico di Gian Piero è ubicato in località Sassella nella sottozona "baffo" (trigioeu - pizzamëa), tra i 400 e i 450 metri, collocato proprio sopra lo storico cru "rocce rosse”.
Arranco come Frodo sulla scala segreta di Cirith Ungol, invece il mio accompagnatore si inerpica con la naturalezza di una guida di montagna. Mi aggrappo alla roccia, ai rampicanti e alle erbacce per stare al passo. Alla prima sosta sono madido di sudore e sembro un ciclista che ha appena affrontato il Pordoi, al contrario del padrone di casa che si gode il sole e respira a pieni polmoni. “Lo senti il profumo dell’erba? Questa pulizia dell’aria?” Sì, la sento eccome. Non c’è nessuna chimica nell’aria. C’è la natura nella sua massima espressione di purezza.
I terrazzamenti sui quali ci troviamo sono stati strappati, lembo dopo lembo, alla roccia. Un lavoro straordinario, perché è ben poca la terra che può essere sottratta agli affioramenti tipici dei terreni scistosi della Sassella.
Quello di Gian Piero è un biologico estremo, per lui il ruolo del vigneron è quello di un custode che sorveglia la vigna e si intromette solo quando non è evitabile.
Con questo approccio la natura riesce a esprimere sé stessa e la pianta del Nebbiolo riesce a muoversi e a non essere soffocata dalle decisioni del vignaiolo. Detto con le parole di Gian Piero: “Dislivelli è un vino spontaneo che nasce da solo. Io devo solo accompagnarlo.”
Comprendo perché molti abbiano definito “folle e rischioso” il suo lavoro, ma nell’arrancare su e giù per queste rupi riesco a vedere a occhio nudo quanto benessere esprimano le piante di Dislivelli. Comparata ad altre vigne che passano la vita respirando zolfo e rame, questa oasi di montagna emana un’aura di beata sanità.
Dislivelli è il Nebbiolo delle Alpi in purezza da viticoltura estrema. Nasce spontaneo, cresce selvaggio, arriva volubile e imprevedibile nel tuo calice.
Passeggiamo tra i filari e io sono sedotto dalla chiarezza d’espressione di Gian Piero.
Dislivelli è un vino volubile per chiaro e preciso volere del suo creatore. Da ogni parcella si ottiene sempre qualcosa di diverso per sapori e profumi. A ciascun terrazzamento viene dedicato uno specifico Clayver*. All’interno del Clayver il vino vive di vita propria e non diventa mai qualcosa di omogeneizzato. Dislivelli è un vino unico in questo senso: il modo in cui arriva nei calici è sempre diverso, con sfumature ogni volta imprevedibili.
*Clayver è il nome dell’azienda italiana di Botti in Ceramica, certificate e tracciabili, per fermentare, conservare e affinare il vino. I Clayver sono realizzati con un particolare grès ceramico naturale omogeneo e compatto, simile per molti aspetti a un granito naturale, impermeabile ai liquidi. La loro struttura microporosa intrinseca permette uno scambio gassoso con l’esterno ma solo in quantità limitata e su scale temporali molto lunghe. Sono quindi ideali anche per i lunghi invecchiamenti.
Restiamo seduti per un po’ tra due filari di vite vecchie di oltre 100 anni, abbiamo le dita affondate nell’erba e la pelle esposta al sole, spaziamo con lo sguardo la vallata, inaliamo pace e serenità.
Ma da dove nasce Dislivelli?
“Era nascosto nel mio DNA. I miei nonni materni erano di Teglio e possedevano alcune vigne, mentre la famiglia di mio padre è della Valmalenco e ha sempre avuto forti legami con la vita di montagna, i rifugi e le guide alpine. Dislivelli è il progetto con cui ho voluto creare un connubio tra la viticultura estrema e le imprese che hanno fatto la storia dell’alpinismo.”
Sospira, e si aspetta forse una domanda che non arriva. Quindi si illumina.
“Sai, adesso che ci penso sarebbe stato bello salire in elicottero fino al rifugio Marco e Rosa sotto al Bernina. Potevo farti vedere il canalone dove Cesare Folatti, Peppino Mitta e il fotografo Luigi Bombardieri il 25 luglio del 1933 fecero questa scalata contemporanea. Corta, verticale e assolutamente difficile per i mezzi tecnici limitatissimi dell’epoca.”
Si riferisce alla prima ascensione al Colle d’Argient dello Scerscen Superiore per il canalone di ghiaccio, una vera e propria tappa miliare nella storia dell’alpinismo.
“Io, allo stesso modo, con mezzi limitatissimi voglio arrivare a fare un vino contemporaneo. Un vero Nebbiolo alpino. La prossima volta andremo a bere Dislivelli in quota, a 3.600 metri sopra il livello del mare.” Sogno a occhi aperti questa promessa di futuro quando uno starnazzare in lontananza mi riporta al qui e ora.
Sono le 25 anatre corritrici introdotte da poco in vigna: un altro esempio arguto di strategia per eliminare il ricorso a pesticidi e trattamenti chimici.
Queste anatre non volano, hanno una postura eretta simile a quella dei pinguini e, a differenza delle loro esimie colleghe, non camminano ciondolando ma procedono a velocità spedita passando al tappeto la vigna e mangiando lumache, larve di insetti e altri animali infestanti nocivi.
Abbònati
Ogni mese noi giriamo il mondo per scoprire una cantina esclusiva. Ogni mese tu ricevi a casa quella che per noi è la sua migliore bottiglia: un vino sempre nuovo, pregiato e sorprendente. A Natale con il 10% di sconto.
Torniamo in cantina, io con la smania di vedere i Clayver e assaggiarne il contenuto. All’interno di Palazzo Guicciardi Gian Piero, che nasce architetto, ha realizzato la sua cantina contemporanea, conferendole un’anima austera che mi ricorda da vicino Herdade Aldeia de Cima. Scendo le scale che conducono nelle profondità del palazzo come se entrassi in un antico luogo di culto dimenticato. I Clayver sono custodi di un tesoro che Gian Piero mi fa assaporare: è la sua terra, è la Valtellina concentrata in un liquido prezioso.
Torniamo alla luce e do finalmente sfogo al desiderio di assaggiare Dislivelli imbottigliato. L’etichetta riporta sempre il numero del Clayver specifico dal quale proviene il vino contenuto nella bottiglia. Una volta versato svela il suo colore unico e diverso da ogni altro Nebbiolo della Valtellina. Al profumo si sentono i fiori, le erbe, la terra. È una gioia respirarlo.
Intanto, appoggiato al tavolo, Gian Piero mi mostra tutti gli attrezzi originali utilizzati da Peppino Mitta, suo prozio, nella famosa ascensione del 1933. L’orgoglio per la creatura della sua vigna si fonde con l’ossequio per le incredibili gesta degli uomini di montagna.
Sta per decifrarmi l’etichetta sulla bottiglia ed è visibilmente emozionato. Ma prima mi spiega che il nome Dislivelli non significa solo differenza di quota ma anche dissociazione dai livelli.
Lo guardo perplesso: di cosa sta parlando?
Per livelli, mi dice, lui intende le enfiteusi, un tempo contratti molto diffusi tra i proprietari terrieri e i lavoratori della vigna. Secondo questo tipo di contratto, in cambio del diritto del lavoratore di godere del terreno e dei suoi frutti, le uve migliori dovevano essere conferite al proprietario. Questo tipo di diritto esiste ancora, ed è esercitato da tutti coloro che consegnano le proprie uve a cantine terze. “Io quindi mi dissocio, perché non condivido affatto questa visione della cantina e della terra, questa dicotomia tra chi possiede e chi lavora.”
Ed eccoci all’etichetta, davvero qualcosa di mirabile.
“Le linee verticali possono essere interpretate come i pali dei filari della vite oppure come le corde utilizzate dagli scalatori per salire. Le due sagome al centro sono i due eroi della scalata, Cesare Folatti e Peppino Mitta, mentre il vuoto è il terzo. Perché 1+1 in certi casi è uguale a 3. Il vuoto è il fotografo Luigi Bombardieri che immortalò tutti i momenti dell’impresa e che per questo rimase spesso nell’ombra, cioè dietro all’obiettivo della macchina fotografica.”
Se il vino mi emoziona, l’etichetta mi dà da pensare.
I pensieri, nei loro giri tortuosi, mi invitano a riempirmi di gioia non solo tutte le volte che le cose evolvono come avevo sperato ma anche tutte le volte che prendono una piega diversa da quella prevista dai miei piani.
Qualcuno li chiama errori, qualcun altro fallimenti, io preferisco chiamarli svolte inattese.
Sempre meglio un rimorso che un rimpianto.
Un imprevisto invece della noia.
Uno spazio estremo anziché una comfort zone.
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