Herdade Aldeia de Cima
Il vino è come un orologio: va ascoltato il rumore che fa.
António Cavalheiro è il vigneron della tenuta che paragona il proprio lavoro a quello dell’orologiaio: per produrre certi vini bisogna sapere come e quando caricarli.
Viaggiare.
Non potrei mai rinunciarci.
Perché solo viaggiando posso imparare cose che altrimenti mi resterebbero ignote.
Tutte le valigie che ho fatto mi hanno insegnato che del partire verso l’ignoto la cosa che conta di più non è quello che mi porto dietro ma quello che lascio a casa: tutte le convinzioni e le certezze che credo di possedere.
E non è tanto la fuga dalla routine quella che cerco, è piuttosto la brama di luci diverse, di incontri, di connessioni. Non lo farò, non lo dirò che il percorso è sempre più importante dell’arrivo, questo ormai lo sanno anche i sassi, dirò invece che niente mi entusiasma più delle persone che incontro lungo il percorso.
Perché tutte queste riflessioni?
Perché durante i 50 km che separano Évora dalla nostra destinazione, nel villaggio di Santana, frazione di Portel, Alto Alentejo, Simona non mi rivolge neanche una parola. È troppo impegnata a lavorare al suo nuovo cappello. E allora io mi intrattengo filosofeggiando.
Intanto, di fronte a noi si dipana il Portogallo meridionale dell’est, quello che punta al confine spagnolo, fatto di campagne disabitate. Un paesaggio rilassante nella sua bellezza minimalista.
Peccato che il clima ci sia avverso. Se il calendario induce a confidare in temperature miti, la realtà è che oggi sono inclementi. L’umidità entra nelle ossa, il vento è freddo e ci fa stringere nelle spalle, la pioggia fine si infila nel collo della giacca.
Herdade Aldeia de Cima emerge improvvisamente alla sinistra della strada come un miraggio o un’allucinazione. Le mura perfettamente intonacate a calce bianca riflettono una luce che non c’è e che al suo posto lascia imperare il grigio e il cupo. Gli iconici silos svettano imponenti a guardia dell’ingresso.
Prima impressione: questa Herdade ha la sacralità di una chiesa e l’austerità di un museo.
Nelson Coelho e António Cavalheiro sono rispettivamente il responsabile delle vendite e il vigneron di Aldeia de Cima, ma io preferisco pensarli come i suoi custodi e gli ambasciatori della sua visione illuminante. Sono loro ad accoglierci e a restituirci quel calore di cui il clima ci ha defraudati. I sorrisi sono spontanei, l’empatia è immediata. Da subito ci danno l’opportunità di comprendere cosa avvenga in questo luogo magico.
È Nelson a prendere la parola e a non cederla più. È evidentemente innamorato del proprio lavoro e lo descrive con la luce negli occhi di chi si sente coinvolto in un progetto al 100%. E qui il progetto, scoprirò a breve, è nientemeno che dipingere, coltivazione dopo coltivazione, un ritratto infinito di sapienza antica.
Un tempo di proprietà della famiglia reale portoghese, Herdade Aldeia de Cima viene acquistata nel 1994 dalla famiglia Amorim (la stessa che è a capo della più importante azienda di prodotti in sughero al mondo) e ristrutturata.
Sin dalla più tenera età Luisa Amorim, figlia di Américo Amorim e attuale proprietaria della Herdade, respira l’aria di queste terre e stringe con la regione dell’Alentejo un rapporto indissolubile. Il vino diventa una delle sue più grandi passioni, tanto da indurla a contattare l’enologo Jorge Alves e chiedergli di pensare a un vino che racchiuda il gusto unico dell'Alentejo in ogni singola bottiglia.
“Questo luogo è speciale per le persone che ne fanno parte.” Doveva essere una domanda, la mia, ma mi è uscita come un’affermazione. “È proprio così, è la visione che condividiamo con la proprietà a renderlo tale” risponde prontamente Nelson.
“Lavoriamo in biologico e siamo guidati da una filosofia di profondo rispetto per le risorse naturali, preserviamo i suoli meno produttivi e integriamo le loro diverse colture in modo ecologico. La sostenibilità del progetto e la missione di Luisa e della sua famiglia sono orientati nella stessa direzione: rispetto del territorio, rispetto della storia, rispetto delle tradizioni. Con un obiettivo unico e speciale: racchiudere il gusto dell'Alentejo in bottiglia.”
Non siamo che all’inizio della nostra visita ed è già la seconda volta che affiora quest’espressione.
Sono incuriosito.
António, il vigneron, sembra leggermi nel pensiero: “I nostri vini sono pensati in vigna. In vigna si studiano le diversità e le mineralità dei terreni, in vigna si va alla ricerca dell’equilibrio naturale, delle condizioni uniche e degli antichi saperi.”
Ci ritroviamo in una sorta di galleria d’arte che espone piccole tinajas di terracotta e anfore di cocciopesto. È toccante: quando António parla di rispetto per il passato la sua mano si appoggia protettivamente su un’anfora, quando afferma di guardare al futuro il suo sguardo si posa fiero su un tank in acciaio inox.
Abbònati
Ogni mese noi giriamo il mondo per scoprire una cantina esclusiva. Ogni mese tu ricevi a casa quella che per noi è la sua migliore bottiglia: un vino sempre nuovo, pregiato e sorprendente. A Natale con il 10% di sconto.
Ora António si sposta dalle botti ovoidali alle anfore, dalle vasche in cemento ai tini in rovere per prelevarne il contenuto e farcelo assaporare. Per primo assaggiamo un vino da uve Arinto di cui cogliamo la mineralità e gli immediati sentori di acidità e freschezza.
Neanche il tempo di terminarlo ed António versa nei nostri calici un Alvarinho, dai profumi floreali, meno acido, più tropicale e più sofisticato. Ci dicono di lasciarne un po’ nel bicchiere per mescolarlo con l’Arinto di prima, che ci viene nuovamente versato.
Siamo sconvolti dal blend che si crea ma ancora una volta ci viene detto di non finirlo perché vogliono aggiungere un Antão Vaz da uve originarie di Vidigueira. L’evoluzione è impressionante.
Nelson cavalca il mio entusiasmo: “Questo è quello che facciamo. Il nostro è un processo di vinificazione contemplativa, cioè a intervento umano minimo, perché quel che deve restare è la natura e il carattere sfaccettato dei terroir, dei suoli e dei vitigni.
"Non vogliamo quantità, vogliamo particolarità e unicità”.
Ci stanno riuscendo alla grande.
Usciamo all’esterno e qui mi aspetto solo che António dica: “Benvenuti al Jurassic Park!” Tre pick-up identici ci aspettano per accompagnarci a visitare gli unici vigneti a terrazze di tutto l’Alentejo.
Le piogge notturne hanno reso pericolose e impraticabili alcune delle strade che attraversano la proprietà ma Nelson e António non sono tipi da farsi scoraggiare. Guidiamo per più di un’ora sotto una pioggia incessante, nel fango di sentieri tortuosi che si inerpicano per la Serra do Mendro, famosa per essere situata nella più antica zona geomorfologica della penisola iberica. È stata Luisa Amorim a intuire il potenziale "dormiente" di questo patrimonio geologico unico e a volere piantare qui il primo vigneto terrazzato tradizionale dell'Alentejo.
António sciorina dati impressionanti, fra cui questo:
36 microterroir naturali per 22 ettari di vigna.
Arriviamo infine sulla vetta e la vista ci lascia senza fiato. Le forme sinuose delle terrazze si snodano sotto di noi e ricordano i vitigni del Douro. António, che evidentemente prima aveva apprezzato la mia battuta, canticchia il tema di Jurassic Park facendoci scoppiare tutti a ridere.
Passeggiamo sul crinale della vigna finché Nelson non ci chiede di risalire sui pick-up per andare tutti insieme a mettere qualcosa sotto i denti. Raggiungiamo una casa isolata che, appena varcata la soglia, ci accoglie con una tavola traboccante di leccornie: formaggi, oli d'oliva, salumi e salsicce, ovviamente tutte made in Alentejo. L’ospitalità della famiglia Amorim è sicuramente all’altezza della propria fama.
Tutti i vini che ci versano copiosi mi conquistano, ma è un bianco a rapirmi e a non mollarmi più: l’ascendente che Garrafeira esercita su di me è fatale. “Garrafeira” è un termine portoghese molto antico che oggigiorno è riservato solo ai vini di qualità lasciati invecchiare in bottiglia almeno 6 mesi se sono bianchi e almeno 12 mesi se sono rossi.
António me ne parla così: “Il nostro lavoro è come quello dell’orologiaio. Prendi Garrafeira, per esempio. Un vino così è come un orologio: va ascoltato il rumore che fa. Se non ascoltassimo i suoni della fermentazione nei tini di legno non arriveremmo a produrlo, non sapremmo come e quando occorre caricarlo.”
Garrafeira per me è stato fatale, ma non meno irresistibili sono Reserva Branco e Reserva Tinto, e c’è chi* stravede per Myndru e Alyantiju Tinto. Vengono tutti da Herdade Aldeia de Cima e li trovi qui nel nostro archivio.
*Simona
Se il tempo vola è perché l’atmosfera non assomiglia per niente a quella di una degustazione ma è in tutto e per tutto quella di un pranzo tra amici, dove Nelson e António si muovono come attori di teatro consumati. Camminano, gesticolano, ci raccontano dello scetticismo iniziale riservato alla Herdade. Eppure, se una volta venivano chiamati folli dagli altri produttori locali, ora sono additati ad esempio. Sembra di essere al mercato di Babilonia: le voci si sovrappongono, le risate si accavallano, piovono pacche sulle spalle, i sorrisi si fanno sempre più larghi e le bocche non fanno che assaporare, deglutire e ricominciare.
A Herdade Aldeia de Cima ne sanno. Ne sanno di vini e ne sanno di accoglienza.
Gli abbracci con i quali io e Simona ci congediamo da Nelson e António è il nostro modo per dirglielo. Racchiudere il gusto dell'Alentejo in bottiglia.
Ora sì che abbiamo veramente capito.