Bodegas Timanfaya
È solo da La Geria che io voglio ricavare le mie uve e solo da vigne di oltre 250 anni.
Alberto González Plasencia, il proprietario di Bodegas Timanfaya, è un vero e proprio missionario: recupera le vigne abbandonate, le pota, le pulisce e le restituisce alla loro grandiosa produzione.
Il nero della pietra lavica, della cenere e dell’ossidiana. Il rosso delle rocce. Il bianco delle onde spumeggianti e delle piccole case. Il verde dei cactus. L’azzurro del cielo e il blu del mare.
Lanzarote ci accoglie con tutta l’energia dei suoi colori e, in un attimo, ci conquista per sempre.
E poi ci chiede di non smettere neanche per un secondo di stupirci, offrendoci l'incontro curiosamente armonioso di potenza vulcanica e design: l'influenza sproporzionata con la quale l’architetto-artista César Manrique sembra aver diretto artisticamente l'intera isola ha trasformato un luogo così geologicamente irrequieto in un’oasi pacifica.
Questo paradosso è in gran parte il risultato di un'importante rivelazione: la forza distruttiva dei vulcani, il più recente dei quali è apparso dal nulla appena 180 anni fa, non è stata un disastro così assoluto.
Uomo e natura hanno saputo, letteralmente, rinascere dalle proprie ceneri.
Se ci penso, solo qua poteva nascere Malvasía Seco. Solo qua.
Malvasía Seco è l’incredibile bianco di Bodegas Timanfaya. Assapora subito i sapori più autentici di Lanzarote.
In tre giorni di guida sulle strade lisce di Lanzarote, vengo rapito dal suo fascino e da un prezioso senso di isolamento dal resto del mondo. Il mio impellente desiderio di visitare luoghi abbandonati e dal torbido passato, giardini di cactus, piscine da cattivo di James Bond e belvedere mozzafiato mi ha guidato su e giù per quest’isola, dove la natura è sempre stata un'amica capricciosa.
Nel tempo, prima ha portato un clima benevolo di inverni caldi ed estati non troppo torride, unito a un terreno fertile e spiagge dorate e appartate. Poi, ha sommerso le distese dei migliori terreni agricoli in una marea di lava, inghiottendo case, chiese e chilometri di costa incontaminata.
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Mentre guido, Zach Bryan a tutto volume è la colonna sonora che ci accompagna verso il nostro punto di incontro nel parcheggio di Bodega Rubicon, dove però non ci fermeremo: troppo famosa e troppo rinomata perché possa essere la nostra destinazione finale. Ma è lì che abbiamo appuntamento.
Per dove dobbiamo andare è meglio se lasci qui la tua auto! sono le prime parole che Alberto González Plasencia mi grida dall’interno del suo indistruttibile pick-up rosso.
Tra cigolii, sobbalzi e alcuni bulloni persi lungo la strada, impiego qualche minuto per realizzare accanto a chi sono seduto. Nel suo essere così vero, entusiasta, coinvolgente ed empatico, Alberto abbatte all’istante quel muro di riverenza che il suo nome susciterebbe. Non mi rendo conto del fatto che mi sto rivolgendo al secondo miglior enologo di Spagna e a uno dei dieci migliori al mondo.
Mentre lo ascolto, sono rapito e quasi non mi accorgo della brezza che dolcemente soffia nell’abitacolo; di quanto poeticamente le vigne centenarie si mostrino all’orizzonte; di quanto lentamente sia cambiato lo scenario. È una sensazione di calma, crescita e acculturamento, che arriva inaspettata e folgorante.
Alberto non parla perfettamente l’inglese ma, con la libertà di saltare al suo spagnolo, riesco a seguirlo e a capire quando mi dice che Lanzarote è diversa dal resto del mondo. Sembra, a un certo livello, un'impossibilità, un miraggio.
Me lo dice mentre ferma il pick-up in uno dei punti più alti di La Geria per permettermi di capire, ammirare e contemplare lo spettacolo che si apre sotto di noi.
Ti ho portato qui perché tu potessi vedere. È solo da La Geria che io voglio ricavare le mie uve e solo da vigne di oltre 250 anni. – mi dice.
Una distesa di terra nera che più nera non si può, buche coniche nel terreno, profonde anche diversi metri, vigne verdissime sparse qua e là, miriadi di mezzelune in pietra, un vento caldo e fortissimo capace di farmi barcollare e, in lontananza, i grandi vulcani arrugginiti di Timanfaya, che letteralmente esplosero nel 1730.
Qua, nessuno ha le idee più chiare di Alberto. Nel 1999 il suo progetto di Bodegas Timanfaya era già sulla bocca di molti e il suo vino era uno dei più rinomati dell’intero territorio spagnolo. Nel 2000, però, decise di interromperlo per dedicarsi alla consulenza presso le più grandi cantine delle Isole Canarie. Vent'anni e un fruttuoso tour tra numerose cantine dopo, Alberto ha un'esperienza che gli permette di porre fine a tanto andirivieni tra vigneti e cantine di altri per focalizzarsi interamente sulla propria.
Sento i suoi occhi su di me mentre spazio con lo sguardo sulle vigne circostanti.
Questo modo di coltivare le uve è nato in seguito alla grande eruzione durata dal 1730 al 1736, che ha ricoperto tutta la zona ai piedi del vulcano Timanfaya. Per poter tornare a coltivare in quest’area si è dovuto scavare nello strato di detriti, che raggiungeva oltre i tre metri di spessore, per arrivare alla terra fertile sottostante. Sebbene la pioggia sia rara, è compensata dall'umidità che i venti ci forniscono e che infiltrandosi nella terra viene trattenuta dal picón (cenere vulcanica), impedendone l'evaporazione. Proprio ora siamo nel luogo in cui tutto è cominciato e dove il picón si trova naturalmente: La Geria.
È proprio per questo che sono venuto a Lanzarote: vedere da vicino questo magnifico territorio, toccarlo, viverlo, assaporarlo.
Ogni singola vite, qui, è pura rappresentazione della lotta tra la vita e la morte: il verde fluorescente delle piante contro il grigio arido e desolante della terra.
Più mi immergo nel lavoro e nella storia di Alberto, più capisco quanto lui sia, in realtà, un vero e proprio missionario: recupera le vigne abbandonate, le pota, le pulisce e le restituisce alla loro grandiosa produzione.
Hay vida en todas partes! - “C’è vita ovunque” mi dice quasi gridando, come per scuotermi. Si emoziona e si arrabbia nel vedere alcune buche completamente abbandonate, conquistate da piante selvatiche e da erbacce che, letteralmente, rubano l’umidità alla vite.
Nonostante questo – prosegue - la pianta sopravvive! In due anni possono tornare a produrre uva.
Intanto le fotografa perché, dice, anche se non sono sue tra un paio di giorni tornerà a sistemarle: non sopporta di vederle così.
Questo è Alberto Gonzalez. Un combattente.
Guarda, guarda quanto è fertile questa terra! - grida mentre cammina tra i piccoli crateri - Nel mondo una vigna è considerata vecchia se ha 35 anni. Quelle che ci circondano sono state piantate dopo l’eruzione del 1736 e ne hanno 300! Hai idea di quante informazioni genetiche possono darci avendo vissuto così a lungo e senza acqua? Bisogna rendersene conto.
Lanzarote, tra l’altro, è il primo luogo che visito dove la Fillossera* non è mai arrivata e, di conseguenza, tutte le vigne sono a piede franco.
*La fillossera è un insetto infestante micidiale di origine americana. Arrivato in Europa alla seconda metà dell’800 flagellò la viticoltura del nostro continente e cambiò per sempre la storia della vite e del vino.
Nell’ascoltarlo, percepisco quanto Alberto parli la lingua di questa terra e ne incarni lo spirito. La difesa dei vitigni autoctoni, la difesa dell'ecosistema e il rispetto per le tradizioni sono le basi sulle quali ha eretto il suo progetto. Io, intanto, non vedo l’ora di assaggiare, per la prima volta in vita mia, un vino proveniente da vigne ultracentenarie.
La cantina è nelle ultime fasi della sua costruzione: un altro punto dell’interminabile lista di progetti, idee e visioni di Alberto. Tutto è studiato per raccontare l’anima di questo luogo e per permettere ai visitatori di immergersi nella storia delle persone dell’isola.
Un’intera colata lavica dai contorni spettrali attraversa interamente la proprietà, come a rimembrare ulteriormente il legame tra la terra e il lavoro dell’uomo.
Camminare scalzo in questo luogo – dice Alberto - mi infonde pace e mi permette di ricalibrare me stesso. La senti quanta energia e quanta potenza sono sprigionate?
In effetti la forza della natura è travolgente.
E, finalmente, ecco il momento dell’assaggio di Malvasía Seco: non vedevo l’ora.
L’etichetta della bottiglia è ipnotica e surreale. Realizzata con quattro differenti lavorazioni, è l’ennesima prova di quanto Alberto sia connesso con Lanzarote. Solo lui poteva decidere di creare un’etichetta in rilievo utilizzando il picón naturale dell’eruzione del 1730. Scorrendo il dito sul rilievo si può sentire l’isola. - mi fa notare, orgoglioso.
La Malvasia vulcanica è un vitigno endemico di Lanzarote dopo la sua scomparsa dal resto delle isole Canarie. Questo vino, prodotto in poco più di 3000 bottiglie, nasce da uve presenti solamente su quest’isola e solamente da vigne vecchie più di 250 anni. Sono molto curioso. Lo assaggio.
Mi servirebbe un intero foglio bianco per descrivere tutto quello che sento. - sono le uniche parole che riesco a dire ad Alberto.
Gentili profumi di frutta bianca, tropicale, con note minerali. In bocca è fresco, equilibrato, rotondo e morbido. A un tratto, poi, esplode con tutta la forza del proprio terroir. Penso addirittura a una pesca salata. Salinità, tanta salinità. Si percepiscono le erbe, la terra, il mare. Sento la personalità di questo vino e la potenza delle uve dalle quali proviene. Sento la mano di Alberto, che per produrlo mantiene metodi tradizionali, senza sottoporli ad alcun tipo di trattamento, stabilizzazione o chiarifica, rispettando sempre le caratteristiche delle uve.
È davvero incredibile e a ogni sorso rivela aromi e sentori differenti. Una vera e propria evoluzione nel calice. Mi sento davvero un privilegiato a poterlo assaggiare e condividere con una persona così autentica e appassionata.
Infine, come spesso mi succede, percepisco anche il sapore della malinconia. Perché quando un luogo, in un attimo, diventa casa, lasciarlo è complicato.
Ho però imparato che, tra i mille ricordi di ogni viaggio, alcuni si scolpiscono dentro di me, eterni. Sono questi istanti che mi danno la forza di ripartire. Perché so che sono custoditi, uno a uno, come piccole grandi risorse di felicità, pronte a risvegliarsi e vibrare dentro di me.
E toccare una vigna centenaria, all’interno di un cratere di picón, insieme a uno dei migliori enologi del mondo, sarà un istante che mi accompagnerà per sempre.
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